IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 904/1983,
 proposto dal prof. Paolo Rizzo, rappresentato e difeso dal prof. avv.
 Giovanni Puoti, presso lo studio del quale, in Roma, via F. Civinini,
 n. 69,  e'  elettivamente  domiciliato,  contro  il  Ministero  della
 pubblica  istruzione,  in  persona  del  Ministro  in  carica,  ed il
 consiglio   universitario   nazionale,   in   persona   del    legale
 rappresentante   pro-tempore,   ambedue   rappresentanti   e   difesi
 dall'Avvocatura   generale   dello    Stato,    e    nei    confronti
 dell'Universita'  degli  studi  di Roma "La Sapienza", in persona del
 rettore in carica, e del prof. Elvio Leonardi,  non  costituitisi  in
 giudizio, per l'annullamento del giudizio di inidoneita' a professore
 associato di  cui  al  decreto  ministeriale  del  4  dicembre  1980,
 comunicatogli  con  la  nota del Ministero della pubblica istruzione,
 direzione  generale  per  l'istruzione  universitaria,  ufficio   II,
 associati,  n.  11275 del 29 gennaio 1983, nonche' per l'annullamento
 di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti;
    Vista  la propria decisione parziale in data odierna, con la quale
 e' stato respinto il primo dei proposti mezzi di gravame;
    Visto  che  ricorrente,  con  il  suo  quarto mezzo di gravame, ha
 denunciato  l'illegittimita'  della  nomina   di   piu'   commissioni
 giudicatrici  per  un  unico raggruppamento, disposta in applicazione
 dell'art.  51,  secondo  comma,  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica 11 luglio 1980, n. 382;
    Visto  che  effettivamente  per il raggruppamento di discipline n.
 123 (clinica oculistica) relativamente alla prima tornata di  giudizi
 idoneativi,  con cui ha partecipato il ricorrente con esito negativo,
 sono state nominate piu' commissioni giudicatrici;
    Attesa  la  pregiudizionalita'  del mezzo di gravame in questione,
 poiche' ove risolto favorevolmente  al  ricorrente  implicherebbe  la
 caducazione all'intero procedimento per lui conclusosi negativamente,
 a  partire  dal  bando  dei  giudizi   de   quibus,   che   prevedeva
 l'istituzione   di  piu'  commissioni,  in  rapporto  al  numero  dei
 partecipanti, e dell'ordinanza di istituzione di piu' commissioni per
 il detto raggruppamento;
    Considerato  che, cosi' come eccepito dal ricorrente, la sollevata
 questione di costituzionalita' in ordine all'art. 51, secondo  comma,
 del  decreto  del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382,
 appare non manifestamente infondata, per  le  considerazioni  di  cui
 appresso.
    L'art.  5  della  legge  di delega 21 febbraio 1980, n. 28, al suo
 secondo comma,  ha  sancito  la  composizione  delle  commissioni  di
 concorso   per   professori   associati,   fissandola,   per  ciascun
 raggruppamento di discipline, in cinque membri effettivi piu'  cinque
 per eventuali surroghe.
    Lo  stesso  art.  5,  secondo  comma,  ha,  poi,  statuito che "le
 commissioni  possono  essere  formate  da  un  numero  superiore   di
 commissari in rapporto al numero dei candidati".
    Da  tali  statuizioni  emerge  chiaramente  che  il legislatore ha
 previsto per i concorsi ordinari per  professore  associato  un'unica
 commissione   esaminatrice  per  ogni  raggruppamento,  con  la  sola
 possibilita' di aumentarne il numero dei componenti, in  rapporto  al
 numero dei candidati.
    Il  succitato  art.  5,  al  quarto  comma,  ha,  poi,  fissato le
 modalita' di attuazione delle norme transitorie di inquadramento  nel
 ruolo dei professori associati, prevedendo, per quanto qui interessa,
 che i relativi giudizi di idoneita' dovessero  essere  espressi  "per
 ciascun   raggruppamento   di  discipline,  da  apposite  commissioni
 nazionali composte da tre professori ordinari o straordinari,  eletti
 secondo le modalita' previste dal secondo comma".
    Il  legislatore, pertanto, attraverso il rinvio operato dal quarto
 comma dell'art. 5 de quo al secondo comma dello stesso  articolo,  ha
 inteso,  chiaramente,  assoggettare  anche  i  giudizi  di  cui  alle
 richiamate norme transitorie allo stesso criterio della  formulazione
 da  parte  di  un'unica commissione per ciascun raggruppamento, cosi'
 come previsto per i concorsi ordinari.
    Cio' stante, dal combinato disposto del secondo e quarto comma del
 ripetuto art. 5 della legge n. 28/1980 consegue  chiaramente  che  il
 legislatore,  in  sede di delega, ha fissato il principio anche per i
 giudizi idoneativi in  argomento  che  fossero  espressi  da  singole
 commissioni  per ciascun raggruppamento, incrementate, eventualmente,
 da un maggior numero di  commissari,  ove  lo  richiedesse  l'elevato
 numero dei candidati.
    In  sede  attuativa del principio emergente dalla illustrata norma
 di delega, l'art. 51, secondo comma del decreto del Presidente  della
 Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, ha statuito che "ove il numero dei
 concorrenti alla prova idoneativa per un  determinato  raggruppamento
 disciplinare   superi   le   ottanta   unita',  si  provvedera'  alla
 costituzione di piu' commissioni".
    Nella  pluralita'  di  commissioni  previste  dalla  citata  norma
 delegata e', pertanto, rinvenibile un eccesso,  rispetto  alla  norma
 delegante,   in   contrasto   con   il  dettato  dell'art.  76  della
 Costituzione.
    Per   altro,   tale   pluralita'   di   commissioni,   non  tenute
 all'osservanza  di  alcun  criterio  rigido  di  giudizio,   composta
 necessariamente, un proliferazione di autonomi centri di valutazioni,
 suscettibili di alterare la par  condicio  dei  candidati,  ai  quali
 dovrebbe, invece, essere garantito identico trattamento.
    Ne  consegue un dubbio di incostituzionalita' della norma delegata
 in oggetto anche con riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    L'evidenziata  alterazione della par condicio dei candidati, sotto
 altro profilo, pare implicare, altresi', una violazione del principio
 di   imparzialita'   cui   e'   tenuta   a  conformarsi  la  pubblica
 amministrazione.
    Donde  il  sospetto  che  la  medesima  norma  delegata  in  esame
 contrasti, anche, con il dettato dell'art. 97 della Costituzione.
    Considerato,   altresi',  che  il  dubbio  di  incostituzionalita'
 dell'art.  51,  secondo  comma,  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica  n.  382/1980  permane  sotto  i vari profili prospettati,
 nonostante la successiva emanazione della legge 9 dicembre  1985,  n.
 705,  interpretativa,  con modificazioni ed integrazioni, del decreto
 del Presidente della Repubblica in parola, attesa la  gia'  sollevata
 questione   di   incostituzionalita'   da  parte  di  questa  sezione
 (ordinanza n. 1286 del 1ยบ ottobre 1986) a carico dell'art.  10  della
 teste'   citata  legge,  recante,  formalmente,  interpretazione  del
 ripetuto art. 51, secondo comma, del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica n. 382/1980;
    Vista  la rilevanza che assume nella controversia in oggetto anche
 il richiamato art. 10 della legge n. 705/1985, il collegio,  aderendo
 alla  precedente  giurisprudenza  della  sezione,  ritiene  di dover,
 altresi', osservare quanto segue in ordine a tale norma.
    L'art.  10  in  esame  ha  cosi'  statuito: "L'art. 51 deve essere
 interpretato nel senso che, ai fini  dei  giudizi  di  idoneita'  ivi
 previsti   e'   consentita   la   costituzione  di  piu'  Commissioni
 giudicatrici per lo stesso raggruppamento disciplinare, in tal  senso
 intendendosi   il   principio   della   diversa   composizione  delle
 commissioni  in  relazione  al  numero  dei  partecipanti,  contenuto
 nell'art. 5 della legge 21 febbraio 1980, n. 28".
    Quest'ultima    norma    riportata,   anche   se   dichiaratamente
 interpretativa  dell'art.  51  del  decreto  del   Presidente   della
 Repubblica  n. 382/1980 (che, per altro, circa la prevista pluralita'
 delle commissioni  giudicatrici,  data  la  sua  chiara  formulazione
 letterale,   non   aveva   comportato   alcun   particolare  problema
 interpretativo, sia all'amministrazione,  in  sede  applicativa,  sia
 alla  giurisprudenza,  in  sede  di  sindacato  di  legittimita')  si
 risolve, all'evidenza, in un postumo tentativo di attribuire all'art.
 5,  secondo  e  quarto  comma,  il  criterio  della  pluralita' delle
 Commissioni, attuato dal ripetuto art. 51, secondo comma, del decreto
 del Presidente della Repubblica n. 382/1980.
    In  ogni  caso, il ripetuto art. 10 della legge n. 705/1985, anche
 se ritenuto meramente interpretativo, tanto con riferimento  all'art.
 51  del  decreto  del Presidente della Repubblica n. 382/1980 che con
 riguardo all'art. 5 della legge n.  28/1980,  non  sfugge  ex  se  al
 sospetto di incostituzionalita', per violazione degli articoli 3 e 97
 della Costituzione,  per  le  stesse  ragioni  gia'  evidenziate  con
 riferimento al detto art. 51, secondo comma.
    Per  altro,  lo stesso art. 10 della legge n. 705/1985, come norma
 interpretativa ed avente, quindi, valore retroattivo, pone  ulteriori
 dubbi sul piano della costituzionalita'.
    L'interpretazione legislativa di una precedente norma di delega in
 senso conforme alla norma delegata viene ad incidere, infatti,  sulle
 possibilita'  di  difesa  del  cittadino,  che  resta  privato  della
 possibilita' di far valere nei  confronti  della  norma  delegata  la
 violazione   dell'art.   76  della  Costituzione,  sotto  il  profilo
 dell'eccesso di delega.
    Ne  consegue  il sospetto della incostituzionalita' della norma in
 esame, per violazione dell'art. 24 della Costituzione.
    Inoltre,  essendo intervenuta la norma interpretativa in questione
 dopo che la Corte costituzionale era stata gia' invertita  dall'esame
 della  costituzionalita'  della norma delegata de qua (cfr. ordinanza
 di questa sezione n. 946 dell'11  settembre  1985),  con  riferimento
 all'art.  76  della  Costituzione,  tale  norma interpretativa viene,
 sostanzialmente, ad impedire il sindacato della Corte  costituzionale
 sulla  norma  delegata,  incidendo sulle prerogative della menzionata
 Corte.
    A carico della ripetuta norma interpretativa si pongono, pertanto,
 ulteriori dubbi di sospetta incostituzionalita', con riferimento agli
 articoli  134,  136 e 137 della Costituzione nonche' all'art. 1 della
 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1.
    In  proposito,  sembra, infatti, al Collegio che una volta che sia
 stata   investita   la   Corte   costituzionale   dall'esame    della
 costituzionalita'  di una norma delegata, con riferimento all'art. 76
 della Costituzione,  non  possa  piu'  il  legislatore  incidere  con
 effetto  retroattivo  sulla norma di delega, nell'intento di renderla
 conforme alla norma delegata.
    Considerato,  per  tutto  quanto  prima  esposto,  che  sussistono
 fondati dubbi di incostituzionalita' sia per quanto  concerne  l'art.
 51,  secondo  comma,  del  decreto del Presidente della Repubblica 11
 luglio 1980, n.  382,  con  riferimento  all'art.  76  (in  relazione
 all'art.  5, secondo e quarto comma, della legge 21 febbraio 1980, n.
 28) ed agli articoli 3  e  97  della  Costituzione,  sia  per  quanto
 riguarda  l'art.  10  della  legge  9  dicembre  1985,  n.  705,  con
 riferimento agli articoli 3, 97, 24, 134,  136  e  137  della  stessa
 Costituzione nonche' all'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio
 1948, n. 1 (in relazione agli articoli 76 e 77 della Costituzione).
    Considerato,  altresi',  che,  come  gia'  prima  evidenziato,  le
 sollevate questioni di costituzionalita' sono, senza meno, rilevanti,
 ai fini della decisione della controversia in oggetto;
    Vista la propria decisione parziale pubblicata in pari data;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;